Difesa abitativa, quanto è legittima?

Difesa abitativa, quanto è legittima?


Sempre più frequentemente, specie dopo i recenti fatti di cronaca, ci capita di trovare sui “social” diversi post sensazionalistici di questo tenore:

“Con 244 sì e 175 no l’aula della Camera ha definitivamente approvato la legge sulla legittima difesa.In base al testo approvato sarà possibile ricorrere alle armi per difendere la propria incolumità o i propri beni nella propria casa.”

Sfatiamo subito l’enfasi da “breaking news”: la notizia è corretta, ma è decisamente vecchiotta in quanto si riferisce ad una modifica apportata all’Art. 52 del Codice Penale introdotto con la legge 13 febbraio 2006 n. 59.

Con questo articolo, senza la pretesa di voler dare sicure interpretazioni giuridiche, vorremmo esprimere alcune nostre considerazioni a margine, nel tentativo di proporre ai nostri lettori una chiave di lettura sull’argomento che possa metterci al riparo da possibili gravi ripercussioni giudiziarie, nel malaugurato caso in cui dovessimo ricorrere all’uso della forza per difendere la nostra abitazione.

Una società che ammette la legittima difesa non può negare ai singoli il diritto di possedere un’arma, che rappresenta lo strumento essenziale per rendere concreta tale facoltà. Per questo specifico argomento (la difesa abitativa) occorre considerare che il tema del possesso delle armi risulta strettamente connesso a quello della legittima difesa.

In linea di principio il possesso di armi per uso “difesa personale” risulterebbe del tutto fuori luogo considerando che la difesa del cittadino dovrebbe essere prerogativa dello Stato, che con le sue forze di polizia (prima e durante la commissione di un reato) e con la magistratura (dopo) avrebbe il compito di salvaguardare la nostra incolumità e i nostri diritti; tuttavia un tale concetto potrebbe trovare fondamento solo nel caso in cui si potesse disporre della pronta disponibilità di un agente ventiquattro ore su ventiquattro, ma tale condizione – del tutto utopistica – mal si adatta alla situazione reale, specie alla luce delle recenti iniziative di “spending review”, da qui il sempre maggiore e pressante interesse del cittatidino a garantire in maniera autonoma la sicuerezza propria e dei congiunti, almeno, all’interno dell’abitazione.

Se per quanto concerne la detenzione di un’arma è sufficiente seguire le poche chiare regole che il nostro ordinamento prevede – che contrariamente a quanto molti credono, non è nemmeno troppo restrittivo – qualche considerazione in più va fatta sul concetto di legittima difesa, in quanto per chi invoca questo istituto, è decisamente più complesso rimanere entro il suo “campo di applicabilità”.

Il concetto di “legittima difesa”, a detta di molti, è uno dei temi più ostici e controversi del diritto penale, proprio per il fatto che non esiste un confine tracciato e netto tra l’applicazione “legittima” della forza per esercitare il diritto di difesa e l’abuso di essa.

La definizione di legittima difesa è contenuta nell’Art.52 del codice penale:

« Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa. »

Già da una prima lettura di questo articolo è possibile rendersi conto che l’applicabilità è subordinata a tutta una serie di prescrizioni che andrebbero sempre considerate, durante una qualsiasi azione di difesa che ci si trovasse a porre in essere, al fine di ottenere la non punibilità; indipendentemente dalla concitazione dell’evento (immaginiamo un’aggressione) colui che si difende dovrebbe mantenere una fredda lucidità, tale da renderlo in grado di considerare tutte le possibilità contingenti affinché si rimanga entro la proporzionalità della difesa, rispetto all’offesa subita e tutto ciò non è di sicuro facile.

Il “burocratese” col quale è scritto può sicuramente rendere questo articolo banale per chi mastica quotidianamente il diritto, ma di sicuro non lo è per noi comuni cittadini e quindi proviamo ad eviscerarne i significati, sezionandolo come su di un tavolo autoptico:

per esservi stato costretto“: chi si difende deve esservi costretto; non devono quindi esistere altre alternative percorribili, quali ad esempio la fuga, la richiesta di intervento delle Forze dell’Ordine, la possibilità di barricarsi in luogo sicuro, ecc.

dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui“: la difesa deve essere strattamente necessaria a difendere un proprio diritto (primo tra tutti il diritto alla vita), ma si può agire nell’ambito della legittima difesa anche per difendere l’altrui incolumità (la situazione deve essere incidentale; giusto per sgombrare il campo e sottolineare che questo articolo non giustifica l’attività di guardia del corpo)

contro il pericolo attuale“: l’azione difensiva deve attuarsi in contemporaneità all’offesa; se l’azione offensiva cessa, la difesa non è più necessaria e se continuata muta in una sorta di vendetta.

di un’offesa ingiusta“: l’offesa quindi deve essere ingiusta; chi si difende non deve essere stato la causa dell’offesa, in altre parole non deve, egli stesso, aver leso un diritto.

sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa“: l’azione difensiva è giustificabile quando non vi sia disparità tra la quantità e la qualità della forza impiegata da chi arreca l’offesa fisica e chi si difende o protegge altri. L’elemento della proporzionalità, è il più discusso e il meno compreso di questo famoso articolo di Legge. La chiave di interpretazione più corretta, abbandonando il burocratese e utilizzando termini che faranno arricciare il naso ai tecnici del diritto, potrebbe essere la seguente: l’azione offensiva può arrecare un danno fisico a prescindere dal mezzo impiegato e quindi la convinzione che la proporzionalità sia legata al tipo di arma (mi aggredisci con un cacciavite, mi difendo con un cacciavite – mi minacci con un’arma da fuoco, mi difendo con una pistola) è in realtà falsa e dovrebbe essere riconsiderata alla luce dell’effetto dell’azione offensiva e cioè: la tua azione offensiva può essere tanto efferata da causare la mia morte? la mia difesa può essere tale da neutralizzarti indipendentemente dallo strumento utilizzato; in altre parole può essere dirimente l’esempio in cui un aggressore, a mani nude, trattiene a terra la vittima stringendole il collo nel tentativo di soffocarlo e la vittima si difende estraendo un’arma da fuoco e sparando, cagionando la morte dell’aggressore.

L’Art.52 è stato integrato, come accennato in premessa, dalla legge 13 febbraio 2006 n. 59 che ha introdotto il seguente capoverso:

« Nei casi previsti dall’articolo 614, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:

a) la propria o altrui incolumità;

b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione.

La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale.»

Questa ulteriore disposizione, nelle intenzioni del legislatore, avrebbe dovuto limitare il margine di discrezionalità della magistratura nello stabilire se una persona, oggetto di aggressione all’interno della propria abitazione, abbia o meno fatto uso legittimo di un’arma per difendersi.

Prima di passare ad analizzare il testo con maggiore attenzione, occorre premettere che questa disposizione normativa non va intesa come una sorta di “licenza di uccidere” all’interno dei confini della propria dimora, tale da renderci impuniti nel caso sparassimo al “topo di appartamento” che, resosi conto della nostra presenza, fugga con la refurtiva. Se su questo ci fossero dubbi è sufficiente andarsi a leggere la sentenza della Suprema Corte di Cassazione del 23 marzo 2011 n. 11610.

Veniamo ora ad esaminare alcuni aspetti di questo nuovo comma:

Nei casi previsti dall’articolo 614“: L’art.614 del codice penale si riferisce al reato di violazione di domicilio, pertanto l’applicabilità del comma in esame è subordinato alla presenza di una violazione di domicilio perpetrata contro la nostra volontà, con l’inganno o clandestinamente.

Affinchè valga l’applicabilità della legittima difesa e la proporzionalità tra offesa e difesa dovranno essere rispettate anche tutte le seguenti condizioni:

  • colui che pone in essere la difesa deve trovarsi legittimamente in quel luogo;
  • se per la difesa viene utilizzata un’arma, quest’ultima deve essere legittimamente detenuta;
  • deve esservi un concreto rischio (dimostrabile) per la propria o altrui incolumità;
  • la difesa dei beni è legittima solo nel caso in cui chi sta perpetrando il reato non manifesti l’intenzione di desistere e (notare l’uso della “e” e non della “o”) vi sia un attuale e concreto pericolo di aggressione;

Per concludere, occorre considerare che non esiste una sorta di “prontuario della leggittima difesa”, seguendo il quale ci si possa ritenere al sicuro da eventuali guai giudiziari, ma ogni caso va valutato singolarmente e l’uso della forza dovrebbe essere considerato sempre come extrema ratio,  da impiegare solo quando ogni altra possibile forma di difesa non può essere attuata. In molti casi l’opzione della fuga dovrebbe essere considerata, non ritenendo quest’ipotesi un atto disonorevole, ma un’opportunità per salvarsi la vita ed evitare spiacevoli e travagliate vicissitudini giudiziarie.

Se da un lato il nostro ordinamento prevede il diritto alla legittima difesa, dall’altro rimette al cittadino che si difende l’onere della prova e molto spesso la verità processuale non necessariamente corrisponde alla verità in senso assoluto.

Commenti Facebook