La pirateria marittima e la Legge italiana

La pirateria marittima e la Legge italiana


Lo stato di fatto della normativa italiana sulle attività di anti-pirateria

Il fenomeno della pirateria marittima ha evidenziato negli ultimi anni una notevole, progressiva diffusione, interessando una vasta porzione di Oceano Indiano che, a partire dalle coste somale e dal Golfo di Aden va estendendosi verso oriente fino alle coste dell’India;

il principale snodo strategico del commercio marittimo internazionale si trova nel Golfo di Aden e nell’Oceano Indiano dove si sviluppano i due terzi del traffico mondiale di petrolio, la metà del traffico mondiale di container, un terzo del commercio di merci alla rinfusa, ed è l’area all’interno della quale transitano annualmente 1300 navi battenti bandiera italiana, per una media di quasi 4 al giorno, con picchi fino a 10 navi;

Tra il 2011 e il 2012, quattro sono state le navi italiane attaccate ed abbordate dai pirati: la nave petroliera “Savina Caylyn”, con 22 uomini di equipaggio, abbordata l’8 febbraio da pirati somali al largo delle Coste dello Yemen e rilasciata il 21 dicembre 2011; il cargo “Rosalia D’Amato”, con 22 uomini di equipaggio, abbordata il 20 aprile in pieno Mare arabico e rilasciata il 25 novembre 2011; la nave petroliera “Enrico Ievoli”, con 18 uomini di equipaggio, abbordata nelle acque prospicienti le coste somale il 27 dicembre e liberata il 23 aprile 2012 in seguito ad un’operazione condotta dalla Marina militare ed il rimorchiatore per piattaforme “Asso 21”, abbordato nella notte tra il 23 ed il 24 dicembre 2012 al largo delle coste nigeriane, dal quale sono stati rapiti quattro marittimi, attualmente ancora detenuti dai pirati e delle cui sorti ancora nulla si sa.

Per consentire l’autorizzazione all’imbarco di nuclei di protezione ed autodifesa armata a bordo del naviglio nazionale, anche l’Italia si è dotata di un’apposita legislazione rappresentata dal Decreto legge 12 luglio 2011, n.107 convertito con modificazioni dalla Legge 2 agosto 2011, n.130.

Cosa prevede questa legge?

Sostanzialmente indica la possibilità da parte dell’armatore di avvalersi di Nuclei Militari di Protezione (NPM), composti da operatori della Marina Militare o di altre FF.AA., da imbarcare a bordo per la protezione armata delle navi battenti bandiera italiana che debbano attraversare spazi marittimi internazionali a rischio di episodi di pirateria. Tale servizio, ancorché fornito dallo Stato, è di tipo oneroso; in sostanza l’armatore deve corrispondere allo Stato Italiano il ristoro degli oneri derivanti dall’impiego di tali nuclei, che tradotto in termini economici equivale, per un nucleo costituito da sei operatori, ad una cifra giornaliera di circa 3.900 euro.

Ma veniamo al punto più controverso, ma anche di maggior interesse, cioè quello che prevede la cosiddetta “Opzione privata” ovvero la possibilità di imbarcare a bordo della nave mercantile guardie giurate private (Art.5, commi 5-bis e 5-ter).

L’attuale legislazione pone le società private in ruolo sussidiario rispetto alle FF.AA., in altre parole all’armatore è consentito ricorrere a questa ipotesi solo nel caso in cui i servizi di protezione militari NPM non siano disponibili. L’armatore dovrà quindi inoltrare domanda al Ministero per richiedere la disponibilità di un NPM e solo nel caso di risposta negativa potrà interessare una compagnia privata di sicurezza marittima.

L’imbarco, inoltre, sarà subordinato anche alle seguenti condizioni generali:

  • Le aree in cui possono operare le guardie giurate saranno quelle appositamente individuate con decreto del Ministero della Difesa;
  • Potranno operare unicamente su navi mercantili battenti bandiera italiana;
  • La nave dovrà aver predisposto almeno una delle misure di protezione passiva previste dalle “Best Management Practices” elaborate dalla IMO;
  • Le guardie giurate dovranno essere regolarmente autorizzate (Artt. 133 e 134 T.U.L.P.S.), in possesso di licenza del Ministero dell’Interno per il possesso delle armi e dell’autorizzazione del Prefetto a svolgere il servizio;
  • Le guardie giurate dovranno aver superato i corsi teorico-pratici stabiliti con decreto del Ministero dell’Interno 15 settembre 2009 , n. 154 “Regolamento recante disposizioni per l’affidamento dei servizi di sicurezza sussidiaria nell’ambito dei porti, delle stazioni ferroviarie e dei relativi mezzi di trasporto e depositi <omissis>,
  • Le guardie giurate sono di norma individuate tra coloro che abbiano prestato servizio nelle forze armate, anche come volontari, con esclusione dei militari di leva.

L’attuazione delle regole operative indispensabili per l’effettivo impiego di personale armato a bordo sono subordinate all’emissione di un decreto attuativo che il Ministero dell’Interno (di concerto con quello della Difesa e con quello dei trasporti) avrebbe dovuto emanare entro il 31 marzo 2012, ma che ad oggi non ha ancora visto la luce.

Il notevole ritardo nell’emanazione del decreto attuativo sull’utilizzo delle guardie private armate, ha obbligato il Governo ad inserire nel decreto legge del 29 dicembre 2011 una modifica per ovviare, almeno in parte e in via transitoria, alla situazione di stallo, stabilendo che, fino al 31 dicembre 2012, fosse possibile l’imbarco anche delle guardie giurate che non avessero frequentato i corsi previsti per l’espletamento di servizi di sicurezza sussidiaria, purché avessero partecipato per almeno sei mesi, quali appartenenti alle Forze armate, alle missioni internazionali in incarichi operativi con certificato rilasciato dal Ministero della difesa. Mi chiedo quante guardie giurate in Italia possano vantare tale curriculum, ma questo è un altro discorso.

Il Decreto attuativo tanto atteso conterrà sostanzialmente indicazioni circa questi aspetti operativi e gestionali:

  • Corsi di formazione delle guardie giurate;
  • Il rapporto intercorrente tra il comandante della nave e le guardie giurate imbarcate a bordo;
  • La tipologia, la consistenza e il transito degli armamenti.

Esaminato e chiarito lo stato di fatto dell’attuale quadro normativo italiano è possibile dedicarsi ad alcune utili considerazioni, emerse tra l’altro anche in sede parlamentare, su questa delicata situazione, resa maggiormente spinosa, a nostro avviso, dalle vicende legate ai due marò attualmente detenuti in India, “arrestati” durante un attività NPM di contrasto alla pirateria.

 Proprio in merito a questo aspetto l’utilizzo di team di privati anziché di militari in servizio – proprio per la natura privatistica del rapporto che si viene a delineare – può evitare, in caso di incidenti (purtroppo sempre possibili), complicazioni di carattere diplomatico con delicate dispute di diritto internazionale, tuttavia è lecito chiedersi quali garanzie potrebbero avere gli operatori privati coinvolti in un incidente, tenuto conto di quanto accaduto a La Torre e Girone, militari operanti per nome e per conto di uno Stato sovrano.

Anche dal punto di vista dell’inquadramento contrattuale delle GPG impegnate in attività di sicurezza anti-pirateria marittima, considerata la delicatezza dei servizi in questione (che necessita di un’approfondita formazione specifica ad oggi non ancora in possesso delle guardie giurate), esiste  una questione aperta in quanto l’attuale CCNL di categoria, non contemplando tali figure, non prevede né i rischi, né le indennità legate al servizio in questione né, tanto meno, un orario di lavoro compatibile con l’attività richiesta;

Abbiamo accennato, poco sopra, alla formazione… il decreto15 settembre 2009 , n. 154 non stabilisce dei programmi specifici, ma unicamente gli argomenti che devono essere previsti che appaiono decisamente inadeguati rispetto ai compiti che l’operatore privato sarà chiamato a svolgere. Tali corsi dovrebbero, come minimo comprendere insegnamenti sulle Best Management Practice, sugli Standards of Training, Certification&Watchkeeping (STCW) Convention, sul Combat Trauma First Aid, sui sistemi di comunicazione e sicurezza di una nave e, ultimo ma non ultimo, sulla conoscenza della lingua inglese che in tali contesti rappresenta un “must”.

Ancora, la normativa in vigore risulta apparentemente carente riguardo ai soggetti autorizzati all’autodifesa armata, limitandone l’impiego alle navi mercantili e non contemplando in maniera esplicita né le navi da crociera né le navi da pesca oceanica battenti bandiera italiana, pur essendo queste ultime particolarmente esposte alla minaccia piratesca per via della loro forzata stanzialità in determinate aree dell’Oceano indiano;

Procediamo ancora con gli aspetti che a nostro avviso meritano un approfondimento, questa volta di tipo prettamente commerciale:

  in merito alla formazione, così come disposto nella bozza di decreto attuativo, emergono inoltre potenziali situazioni di distorsione del mercato nella fattispecie in cui il soggetto pubblico – Ministero della difesa – è chiamato ad esprimere una valutazione in capo alla procedura di abilitazione all’imbarco delle guardie giurate private, pur essendo direttamente coinvolto nella dinamica commerciale concorrenziale con i soggetti stessi.

Il dettato normativo, così come è attualmente strutturato. impedisce di fatto l’utilizzo di imprese UE di vigilanza, leader nel settore dei servizi di sicurezza a bordo delle navi mercantili, che non potranno svolgere i servizi a bordo del naviglio italiano, al pari di cittadini extracomuntari e, soprattutto, delle imprese di vigilanza extra europee, che costituiscono la stragrande maggioranza del mercato dei servizi di vigilanza privata armata.

E’ evidente che la questione, di per se molto tecnica, è estremamente delicata e meritoria di specifici interventi normativi attuativi e correttivi, allo stato attuale indispensabili, per rendere effettivamente applicabile la possibilità di poter far salire a bordo personale di protezione privato. Gli aspetti da chiarire, come si è visto, sono numerosi e vanno dalle armi, alla formazione, ai requisiti, alle diplomatic clearance, ecc.

Riteniamo che l’emanazione di un quadro normativo riveduto e corretto, ma soprattutto chiaro ed applicabile possa rappresentare un valido obiettivo strategico che potrebbe addirittura favorire ed incoraggiare l’immatricolazione con bandiera italiana del naviglio di nuova immissione, riportando al tricolore quelle navi che, pur riconducibili ad interessi nazionali, battono attualmente bandiere di altri Paesi dotati di una più duttile ed efficace legislazione in materia; cosa non da poco.

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